Partiamo da qui, da quelle pozzanghere illuminate dal sole, da una zona rurale della nostra città non curata. Benevento è molto rappresentata da quelle pozzanghere, un indicatore dell’abbandono e del disagio ma anche della bellezza che resiste. Possono essere un disagio per le auto ed un gioco per i bambini, ma affinché possa esistere questa seconda possibilità è necessario che ci siano i bambini, a Benevento. Abbiamo perso circa 9 mila abitanti in 20 anni, la natalità scende ogni anno di più e l’indice di vecchiaia (il rapporto tra gli over 65 e gli under 15) schizza sempre più in alto, tra i primi posti in Regione. Se continuiamo così quelle pozzanghere resteranno solo disagi per abitanti, in una città che va verso la desertificazione sociale. Siamo la città in cui le opere abbondano e poi si abbandonano pur di non essere affidate a qualcuno che le faccia vivere: molte delle opere fotografate nel loro pessimo stato dal reportage di Luca Daniele “Il Silenzio è cosa Viva” erano il frutto di importanti investimenti che l’Europa ci aveva fatto arrivare dopo tanti anni di studio e di progettazione delle amministrazioni precedenti, erano state realizzate dalle migliori intelligenze di questa città, disegnavano sulle mappe una città bellissima, che valorizzava fiumi con parchi fluviali ed urbani, nuovi centri residenziali immersi nel verde (come in via Lungo Sabato Bacchelli). Ma lo scontro tra progetto e realtà è inesorabilmente in quel reportage che non ha bisogno di tante parole per essere commentato, uno scontro sopito nella vita e nella vista quotidiana: i nostri occhi sono così abituati a vedere l’abbandono in città da non notarlo più, da non provocare la reazione di sdegno che sarebbero adatte ad avviare un cambiamento. C’è una viuzza sul passeggiatissimo e verde viale degli Atlantici piena di sporcizia e verde incolto, c’è un vicolo diventato discarica accanto all’Hortus Conclusus, c’è cartellone turistico sbiadito a presentare l’Arco Traiano: questi abbandoni stonano come delle bestemmie gridate in una cattedrale, eppure sono diventate lentamente un “paesaggio ordinario” di Benevento, non gli effetti di una catastrofe naturale, ma di un lento “processo culturale di rassegnazione”.Se vogliamo invertire la rotta non basta un’elezione, non basta un nuovo sindaco, non basta nemmeno una nuova classe politica: urge una nuova cultura politica. Perché la qualità di vita scende ogni anno in un piccolo borgo di 60 mila abitanti pieno di verde, ricco di storia, con quartieri ben fatti? Perché nella classifica di Avvenire sulle città del Ben–Vivere quest’anno abbiamo perso 8 punti e siamo scesi all’81esimo posto tra le città capoluogo di provincia? È colpa di Mastella, è colpa dell’amministrazione attuale?! Potremmo facilmente dire di sì con tante ragioni, ma non avremmo ragione, sarebbe come fare propaganda, guardare al dito e non alla luna: se a Benevento il teatro Romano è in quelle condizioni, l’infanzia è priva di spazi e di cura adeguata, il welfare è il fanalino di coda della regione che è fanalino di coda di Italia, le scuole sono insicure e gli alberi non godono di vera manutenzione e le piste ciclabili vengono lasciate marcire, non possiamo additare qualcuno, dobbiamo additare noi.A Benevento si deve ripartire da una “rivoluzione gentile” che non pensi agli ultimi ma parta dagli ultimi e lo si deve fare cominciando da noi, dai beneventani, non da altri. Non ci saranno altri che verranno a salvarci, non ci saranno altri che porteranno qui soldi, occupazione e benessere. Abbiamo vissuto per anni nell’illusione di poter rincorrere il modello dell’industrializzazione di altri centri urbani che con uno stabilimento Fiat, una Whirpool, un’Ilva pensavano di aver trovato l’America. Sappiamo come sono finite e come stanno finendo quelle storie e dobbiamo quindi ritenerci fortunati di non essere stati l’Ilva di qualcuno. Noi siamo altro. Dobbiamo prendere atto che non verremmo liberati da nessuno, anche se a volte ci muoviamo come se fossimo i personaggi del film “Underground” di Kusturiza: viviamo nascosti convinti che ci sia ancora la guerra, osserviamo impotenti il parco Cellarulo marcire, gli asili nidi chiudere, i centri per la disabilità essere sempre in affanno, il Terminal diventare una discarica, la casa della Musica violentata, e desideriamo che la povertà e la disoccupazione finiscano e che qualcuno ci liberi da tutto ciò. Ma la verità è che solo noi possiamo farlo, a patto di accorgerci che siamo già liberi di farlo. Proprio come in “Underground”, noi Beneventani dobbiamo uscire allo scoperto per accorgerci che la guerra è finita: non aspettiamo nessuno, dobbiamo solo ricostruire il nostro welfare di comunità, i nostri habitat, il nostro welfare culturale, mettere mano al futuro sulla base dei criteri di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Benevento è del Sud, è in Campania, ma non è una zona ad alta densità di presenza delle organizzazioni criminali. Sempre in quelle classifiche, il comportamento dei beneventani eccelle per la performance nella sicurezza, anche in ambito di incidenti sul lavoro e di incidenti stradali. Eppure non riusciamo ad avere le aiuole in ordine sotto l’Arco di Traiano, eppure il turismo delle aree interne in costante crescita dappertutto non ci ha ancora inquadrato come città storica, perla preziosa subito sotto Roma. Perché? Oltre a quel sistema culturale di economia passiva tipica del Mezzogiorno, la scoria culturale che affossa la nostra città è certamente rappresentata dal perdurare dei sistemi clientelari, quei sistemi per cui è meglio non emergere, non esporsi troppo per non avere problemi; quei meccanismi subdoli o espliciti che ti dicono che è meglio accomodarsi per avere favori che scomodare la ritorsione, l’invidia, il chiacchiericcio, le malelingue di qualcuno. In un sistema del genere la ricerca del consenso è un affare che riguarda solo il momento elettorale e che punta al conformismo: conformarsi al potere di turno ed ai poteri storici della città. Da oggi, da questa assemblea, proviamo a dare un nuovo significato alla parola “consenso”. In un apparato politico clientelare il consenso “si dà a qualcuno” per accomodarsi o per non scomodarsi, per una realtà civica come la nostra la parola “con-senso” dovrà significare la ricerca di un senso collettivo e plurale per la città, dovrà indicare un senso, una direzione, ed al tempo stesso condividere un significato, attribuire un senso a questo nostro luogo perché non sprofondi nell’alveo dei non-luoghi, delle città dormitorio, delle città fabbrica, delle città che sono solo snodi commerciali o periferie di qualcun altro. Il primo impegno che vi chiedo di prendere oggi è di essere attivatori di un nuovo consenso. Civico22 cerca persone che condividano un senso, una direzione, ed ha il coraggio di chiedere questo tipo di consenso ai cittadini. Tanti si sono già espressi a favore della propria candidatura e stiamo ipotizzando costruzione di almeno due liste di attivisti per le prossime amministrative. Al tempo stesso, durante quest’anno, abbiamo incontrato tante persone che ci hanno detto di essere convintamente dentro il progetto politico di Civico22 ma che non intendono candidarsi. In alcuni casi è la paura delle ritorsioni del potere a fare da padrona, in altri casi è la paura di dare fastidio ad altri, di esporsi troppo nel contesto politico e sociale cittadino, nonostante i tanti talenti che sanno di possedere, in altri ancora è il non sentirsi mai pronti abbastanza.A tutti mi sento di dire che la vostra paura e la vostra umiltà sono esattamente il motivo per cui dovreste candidarvi alla guida di questa città. La politica è la tensione tra un già ed un non ancora e se non spingiamo insieme su un cambiamento chiunque si sentirà solo nel dover fare questa scelta, ed una persona che si sente isolata avverte di essere facilmente aggredibile dal potere clientelare fino ad essere isolata. La scelta di essere una parte politica di questa città più che di “fare politica” deve essere una scelta quanto più corale, di un popolo che si fa parte in causa e scende nella tensione elettorale a cercare consenso per una nuova visione, non più per un nome, per un parente o per un nuovo leader. Noi intendiamo affrontare la tensione elettorale per cercare un consenso di popolo attorno ad una visione: una città sociale, inclusiva, verde ed intelligente. Non pensate solo a chi debba candidarsi per questo scopo, pensate piuttosto, “perché non io?”. Siamo nati come GAP, Gruppo di Acquisto in Politica, un gruppo di cittadini che scrive le politiche e poi cerca i candidati adatti, quindi ognuno parta da sé, dalla sua capacità di coinvolgere altri in questa visione, di condividere il senso. Dobbiamo colmare l’altro “gap”, quello della delega, che ci ha fatto sprofondare, e recuperare il protagonismo di chi raccoglie una carta da terra, di chi pulisce la città dalla plastica, di chi apre un’impresa, di chi promuove un monumento e difende le scuole, di chi rinuncia ad offrire l’azzardo patologico ai nostri anziani ed ai nostri giovani. Il nostro GAP parte ora. Abbiamo scritto tanti documenti, altri verranno: ora serve partire da noi perché quei documenti e quella visione abbiano le nostre gambe e non restino pura accademia o salotti amicali. Da domani ognuno di noi dovrebbe inondare la nostra segreteria di nomi e di cognomi di persone che dovrebbero candidarsi nelle nostre liste.Personalmente ho scelto di essere una parte attiva di questa città – e di essere da una parte precisa della città – non quando abbiamo fondato Civico22, ma quando a 15 anni ho iniziato a fare doposcuola dove serviva, quando frequentavo la casa di riposo San Pasquale tutti i sabato pomeriggio con un gruppo di amici con cui rifondammo il Volontariato Vincenziano giovanile, quando ho iniziato a scrivere per i giornali locali e diocesani, quando decidemmo che dovesse nascere un centro di socializzazione per le persone con disabilità, il Centro “E’ più bello insieme”, quando abbiamo fondato l’Orto di Casa Betania per dare nuova vita ad una terra abbandonata, quando abbiamo lottato e marciato insieme a centinaia di cittadini contro il dilagare del gioco d’azzardo, quando abbiamo messo in piedi le diverse cooperative che hanno poi fondato il Consorzio Sale della Terra. Sono stato una parte di questa città anche quando sono stato chiamato a coordinare la Caritas per sette, intensissimi, anni. Ho scelto una parte precisa di Benevento trent’anni o fa e sono ancora da quella parte. E Civico22 con il suo carico di sogni e di progetti è esattamente da quella stessa parte. Helder Camara scriveva: “Quando dò da mangiare ad un povero tutti mi chiamano santo; ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, mi chiamano comunista e sovversivo”. So benissimo che attraversare il guado dall’impegno sociale per gli ultimi all’impegno politico significa attirare giudizi sulla mia persona e su tutti gli attivisti, ma non saranno le lingue di chi ci denigra a fermarmi ed a fermarci. So già che si pagano prezzi alti a Benevento per chi si impegna (come il tentativo rozzo e maldestro di irrorarmi una multa di 15 mila euro per aver riaperto il Centro “E’ più bello insieme”), ma nessuno di noi deve essere disposto a mettere ancora la testa nella sabbia per conformarsi ad un sistema che ci ha spinto in basso. L’unico conflitto di interessi che va davvero agitato è quello tra l’interesse per la città e l’interesse per se stessi. La mia storia al Sale della Terra, che oggi è realtà nazionale, presente con 260 lavoratori in 4 Regioni, e che non può essere affatto rubricata a semplice impresa beneventana, dice chiaramente che anche un’impresa sociale può fare cultura, che anche il welfare può essere sviluppo, che anche le battaglie per difendere l’ambiente possono essere economia. Questa storia oggi è patrimonio della città, perché nasce qui e non è appannaggio di nessuno: nessun potere clientelare può avanzare pretese sul Consorzio, fatto da donne e uomini libere e forti che hanno investito la loro vita per una parte precisa del mondo, per una visione di ecologia integrale. Forse è il caso di ricordare a quei pochi malpensanti che agitano lo spettro che chi si occupa di economia del privato sociale non possa impegnarsi in politica, che l’esperienza politica di don Sturzo nella sua natìa Caltagirone non si fondò solo sullo slancio spirituale del sacerdote, ma anche e soprattutto sulla costituzione concreta di una rete di casse rurali e del movimento cooperativo siciliano; come forse è il caso di ricordare che l’impegno laico di Franco Basaglia non fu solo nella lotta politica e parlamentare per la chiusura dei manicomi, ma quello di dare concreto avvio delle Cooperative di Solidarietà Sociale che includevano i matti liberati da quei cronicari. Sviluppare la cooperazione di un territorio a favore degli ultimi e della crescita locale non è qualcosa di diverso dalla politica locale; chi agita il contrario cerca di ridurre lo schema della politica alla clientela, ma in Civico22 non troverà terreno sufficiente a far radicare l’inciucio in un movimento come il nostro. Il grido dei poveri ed il grido della terra sono lo stesso grido ci ha detto papa Francesco nella Laudato Sii. E questo ovviamente vale anche qui, anche a Benevento. Si deve partire da quel grido se vogliamo avviare la rivoluzione gentile, si deve partire dagli ultimi e dall’ambiente, confidando nella nostra storia e nella nostra intelligenza sociale.Benevento è una città singolare e fortunata, ma ha bisogno di nuova intelligenza sociale per cogliere a pieno le nostre fortune e sviluppare fino in fondo i nostri meriti: abbiamo il pane ed abbiamo i denti, ma spesso non li mettiamo insieme. Abbiamo un’Università che è eccellenza nazionale ed internazionale dell’informatica, abbiamo il fior fiore degli ingegneri informatici, ma non abbiamo uno straccio di Smart city, una Wi-Fi zone che funzioni per davvero nella città, non abbiamo gli spazi co-working pubblici, non abbiamo la sharing economy e nemmeno una green economy; abbiamo il 90% di territorio rurale, ma non c’è un vero piano per la difesa e la promozione della vita rurale cittadina; abbiamo le rotaie e i treni, ma non una piccola metropolitana leggera; abbiamo il verde ed un ambientalismo di lunga tradizione, ma non la cura dei giardini; abbiamo il vino buono e decine di vinerie, ma non valorizziamo abbastanza il nostro brand territoriale nell’economia urbana; abbiamo la storia di una città egizia, romana, longobarda, pontificia, tra le più importanti del centro sud, ma i monumenti sono trascurati come se fossero i cestini porta panini del McDonald’s; abbiamo le piste ciclabili, le colline, migliaia di ciclisti, ma abbiamo il divieto di andare in bici nel centro storico, le piste ciclabili inservibili; abbiamo i fiumi, una flora ed una fauna di rara bellezza, ma non abbiamo un piano che li preservi né un patto di fiume all’altezza; abbiamo le radici di artisti come Mimmo Paladino e Antonio Del Donno eppure non c’è nessuna programmazione culturale che tenda a celebrare, valorizzare o semplicemente ricordare quelle radici; ci sono talenti musicali, sportivi, teatrali, un Conservatorio ed un’Orchestra Filarmonica che altre città ci invidiano, ma abbiamo teatri chiusi, impianti sportivi alla rovina ed una casa della musica mai affidata. Abbiamo banche e giri importanti di denaro privato e mentre il reddito medio scende il volume di affari del gioco d’azzardo supera gli 80 milioni di euro nell’anno 2019, più di ottanta volte il nostro bilancio delle politiche sociali.Dobbiamo partire dal pane o dalle rose per avviare un cambiamento? Dobbiamo partire dalla poesia e dallo sguardo; non c’è vicolo di Benevento che non ispiri un verso, una canzone, un progetto di vita. A noi tocca innovare lo sguardo per cambiare le sorti di questa città abbandonata e violentata e tocca aprire per ogni ferita una feritoia, da cui non solo intravedere le luci, ma soprattutto inseguire il movimento della luce. Dobbiamo insieme far emergere una visione della città dal movimento e la cura dei nostri fiumi, dal movimento delle nostre colline produttive, dalle luci che si intravedono tra le finestre di una vecchia fabbrica abbandonata, dagli scorci urbani e rurali che ci lasciano senza fiato. Dobbiamo partire prima di tutto da un movimento spirituale, che ci faccia sollevare la schiena e prendere le distanze da una cultura politica che da una parte riduce i fiumi, il verde della città, l’infanzia, le biciclette, i nostri monumenti, le persone con disabilità, i teatri, gli anziani a semplici pericoli da mitigare o a costi di gestione da evitare, mentre dall’altra, promuove ed immagina nuove speculazioni edilizie, nuovi investimenti milionari per nuove palazzine (il 30% del nostro patrimonio immobiliare è già in disuso), mega-parcheggi e centri commerciali.Benevento può ripartire da sé ma deve tendere ad andare oltre se stessa, guardando il futuro che arriva. Partire da sé significa partire principalmente dalla nostra storia femminile, dal nostro pensiero divergente. Siamo la città del Sud che più di tante altre si caratterizza per gli archetipi femminili: il culto di Iside, la storia e il mito delle Streghe, la materna protezione della Madonna delle Grazie e la sua devozione popolare. Siamo la città in cui il seno di Maria è esposto dal lato opposto alla bocca del bambino, segno di una maternità ed una femminilità che insieme si prendono cura di Benevento. Come ci ha insegnato Franco Cassano, il pensiero divergente femminile ed il pensiero divergente del Sud vivono la stessa condizione di essere un pensiero “altro” non assimilabile al pensiero unico occidentale. Benevento riparte da sé se intende la sua crescita non come una rincorsa ad un “nord” che non è, ma perseguendo un suo pensiero peculiare proiettato al Mediterraneo e centrato sull’economia femminile, l’economia della cura contro l’economia maschile dell’aggressione, l’economia gentile dello scambio che guarda ai bisogni della casa contro l’economia del profitto fine a se stesso che punta a mantenere i sistemi di disuguaglianza.E se il nostro futuro ha come orizzonte il Mediterraneo e non solo l’Europa, non possiamo che andare oltre noi stessi, immaginare una città aperta a nuove comunità che si insidieranno da noi. Oggi si contano a centinaia membri della comunità tunisina, marocchina, rumena, cinese, alcuni di loro sono i principali tifosi del Benevento, lavorano come i operai e come imprenditori, i loro figli hanno arricchito di nuove culture le nostre scuole. Per evitare ciò che è successo in altri centri urbani, in cui lentamente si sono stratificati quartieri ghetto per le nuove etnie e in cui le classi delle scuole elementari si sono divise in classi per italiani e classi per stranieri, dobbiamo agire poter ipotizzare che la nostra piccola Benevento diventi un simbolo dell’Europa aperta e di pace, ma anche dell’Europa intelligente e generosa, che sappia investire e curare nell’integrazione, perché il vero futuro passerà per la capacità del nostro continente di saper dialogare con le nuove generazioni di migranti che ci raggiungeranno. Oggi le tradizioni del Sud si stanno salvando non solo con il ricambio generazionale ma anche con il dialogo interculturale, a Benevento la zeppola Russo è stata salvata così, a Pietrelcina il presidio slow-food del carciofo è ripartito da una cooperativa di comunità costituita da autoctoni e migranti. La Benevento del futuro deve sapere unire le energie di nuove generazioni di più popoli per innovare radicalmente il suo passo e diventare un modello in Europa e non un fanalino di coda in Italia.Civico22 pensa di riuscire a fare tutto questo da sola? Assolutamente no, non pensiamo di essere autosufficienti per una rivoluzione del genere, non abbiamo la presunzione di bastare a noi stessi. Per questo riteniamo fondamentale avere un dialogo aperto non solo con tutti i cittadini e di gruppi sociali ma anche con le forze partitiche tradizionali, che rispettiamo profondamente, con la speranza di innovare anche qui il metodo del dialogo: i contenuti prima delle alleanze, la vision condivisa prima dei singoli progetti, il consenso come esercizio di democrazia partecipata e non di potere e di clientelaSe siamo arrivati fino a qui, stasera, lo si deve alle centinaia di attivisti che ci hanno creduto e ci credono tutti i giorni, ai tanti componenti della segreteria e della cabina di regia della comunicazione: Antonio LIberti che ha generosamente curato tutte le grafiche, Chiara Bollo, Doriana Bollo, Francesco Luciano, Danilo Travaglione, il grande Gianpaolo De Siena che ha realizzato tutte le foto ed i video di questo primo anno di lavoro; ma lo dobbiamo soprattutto a loro: a Gabriella Debora Giorgione vicepresidente dell’associazione e direttore della comunicazione, che ogni giorno dà tutta se stessa per questa battaglia civica, e a Pasquale Basile che per primo ha immaginato di creare questa alleanza civica a favore della città, superando se stesso e venendomi a cercare per fare qualcosa di nuovo, insieme, nelle nostre diversità.Ora diamo inizio all’ascolto di tutti in questa nuova assemblea di Civico22, il mio augurio è che in ognuno di noi per ogni ascolto, ogni parola, ogni punto di vista, vi sia l’inizio di un nuovo consenso per la nostra città.Partiamo da qui, da quelle pozzanghere illuminate dal sole, da una zona rurale della nostra città non curata. Benevento è molto rappresentata da quelle pozzanghere, un indicatore dell’abbandono e del disagio ma anche della bellezza che resiste. Possono essere un disagio per le auto ed un gioco per i bambini, ma affinché possa esistere questa seconda possibilità è necessario che ci siano i bambini, a Benevento. Abbiamo perso circa 9 mila abitanti in 20 anni, la natalità scende ogni anno di più e l’indice di vecchiaia (il rapporto tra gli over 65 e gli under 15) schizza sempre più in alto, tra i primi posti in Regione. Se continuiamo così quelle pozzanghere resteranno solo disagi per abitanti, in una città che va verso la desertificazione sociale. Siamo la città in cui le opere abbondano e poi si abbandonano pur di non essere affidate a qualcuno che le faccia vivere: molte delle opere fotografate nel loro pessimo stato dal reportage di Luca Daniele “Il Silenzio è cosa Viva” erano il frutto di importanti investimenti che l’Europa ci aveva fatto arrivare dopo tanti anni di studio e di progettazione delle amministrazioni precedenti, erano state realizzate dalle migliori intelligenze di questa città, disegnavano sulle mappe una città bellissima, che valorizzava fiumi con parchi fluviali ed urbani, nuovi centri residenziali immersi nel verde (come in via Lungo Sabato Bacchelli). Ma lo scontro tra progetto e realtà è inesorabilmente in quel reportage che non ha bisogno di tante parole per essere commentato, uno scontro sopito nella vita e nella vista quotidiana: i nostri occhi sono così abituati a vedere l’abbandono in città da non notarlo più, da non provocare la reazione di sdegno che sarebbero adatte ad avviare un cambiamento. C’è una viuzza sul passeggiatissimo e verde viale degli Atlantici piena di sporcizia e verde incolto, c’è un vicolo diventato discarica accanto all’Hortus Conclusus, c’è cartellone turistico sbiadito a presentare l’Arco Traiano: questi abbandoni stonano come delle bestemmie gridate in una cattedrale, eppure sono diventate lentamente un “paesaggio ordinario” di Benevento, non gli effetti di una catastrofe naturale, ma di un lento “processo culturale di rassegnazione”.Se vogliamo invertire la rotta non basta un’elezione, non basta un nuovo sindaco, non basta nemmeno una nuova classe politica: urge una nuova cultura politica. Perché la qualità di vita scende ogni anno in un piccolo borgo di 60 mila abitanti pieno di verde, ricco di storia, con quartieri ben fatti? Perché nella classifica di @Avvenire sulle città del Ben–Vivere quest’anno abbiamo perso 8 punti e siamo scesi all’81esimo posto tra le città capoluogo di provincia? È colpa di Mastella, è colpa dell’amministrazione attuale?! Potremmo facilmente dire di sì con tante ragioni, ma non avremmo ragione, sarebbe come fare propaganda, guardare al dito e non alla luna: se a Benevento il teatro Romano è in quelle condizioni, l’infanzia è priva di spazi e di cura adeguata, il welfare è il fanalino di coda della regione che è fanalino di coda di Italia, le scuole sono insicure e gli alberi non godono di vera manutenzione e le piste ciclabili vengono lasciate marcire, non possiamo additare qualcuno, dobbiamo additare noi.A Benevento si deve ripartire da una “rivoluzione gentile” che non pensi agli ultimi ma parta dagli ultimi e lo si deve fare cominciando da noi, dai beneventani, non da altri. Non ci saranno altri che verranno a salvarci, non ci saranno altri che porteranno qui soldi, occupazione e benessere. Abbiamo vissuto per anni nell’illusione di poter rincorrere il modello dell’industrializzazione di altri centri urbani che con uno stabilimento Fiat, una Whirpool, un’Ilva pensavano di aver trovato l’America. Sappiamo come sono finite e come stanno finendo quelle storie e dobbiamo quindi ritenerci fortunati di non essere stati l’Ilva di qualcuno. Noi siamo altro. Dobbiamo prendere atto che non verremmo liberati da nessuno, anche se a volte ci muoviamo come se fossimo i personaggi del film “Underground” di Kusturiza: viviamo nascosti convinti che ci sia ancora la guerra, osserviamo impotenti il parco Cellarulo marcire, gli asili nidi chiudere, i centri per la disabilità essere sempre in affanno, il Terminal diventare una discarica, la casa della Musica violentata, e desideriamo che la povertà e la disoccupazione finiscano e che qualcuno ci liberi da tutto ciò. Ma la verità è che solo noi possiamo farlo, a patto di accorgerci che siamo già liberi di farlo. Proprio come in “Underground”, noi Beneventani dobbiamo uscire allo scoperto per accorgerci che la guerra è finita: non aspettiamo nessuno, dobbiamo solo ricostruire il nostro welfare di comunità, i nostri habitat, il nostro welfare culturale, mettere mano al futuro sulla base dei criteri di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. Benevento è del Sud, è in Campania, ma non è una zona ad alta densità di presenza delle organizzazioni criminali. Sempre in quelle classifiche, il comportamento dei beneventani eccelle per la performance nella sicurezza, anche in ambito di incidenti sul lavoro e di incidenti stradali. Eppure non riusciamo ad avere le aiuole in ordine sotto l’Arco di Traiano, eppure il turismo delle aree interne in costante crescita dappertutto non ci ha ancora inquadrato come città storica, perla preziosa subito sotto Roma. Perché? Oltre a quel sistema culturale di economia passiva tipica del Mezzogiorno, la scoria culturale che affossa la nostra città è certamente rappresentata dal perdurare dei sistemi clientelari, quei sistemi per cui è meglio non emergere, non esporsi troppo per non avere problemi; quei meccanismi subdoli o espliciti che ti dicono che è meglio accomodarsi per avere favori che scomodare la ritorsione, l’invidia, il chiacchiericcio, le malelingue di qualcuno. In un sistema del genere la ricerca del consenso è un affare che riguarda solo il momento elettorale e che punta al conformismo: conformarsi al potere di turno ed ai poteri storici della città. Da oggi, da questa assemblea, proviamo a dare un nuovo significato alla parola “consenso”. In un apparato politico clientelare il consenso “si dà a qualcuno” per accomodarsi o per non scomodarsi, per una realtà civica come la nostra la parola “con-senso” dovrà significare la ricerca di un senso collettivo e plurale per la città, dovrà indicare un senso, una direzione, ed al tempo stesso condividere un significato, attribuire un senso a questo nostro luogo perché non sprofondi nell’alveo dei non-luoghi, delle città dormitorio, delle città fabbrica, delle città che sono solo snodi commerciali o periferie di qualcun altro. Il primo impegno che vi chiedo di prendere oggi è di essere attivatori di un nuovo consenso. Civico22 cerca persone che condividano un senso, una direzione, ed ha il coraggio di chiedere questo tipo di consenso ai cittadini. Tanti si sono già espressi a favore della propria candidatura e stiamo ipotizzando costruzione di almeno due liste di attivisti per le prossime amministrative. Al tempo stesso, durante quest’anno, abbiamo incontrato tante persone che ci hanno detto di essere convintamente dentro il progetto politico di Civico22 ma che non intendono candidarsi. In alcuni casi è la paura delle ritorsioni del potere a fare da padrona, in altri casi è la paura di dare fastidio ad altri, di esporsi troppo nel contesto politico e sociale cittadino, nonostante i tanti talenti che sanno di possedere, in altri ancora è il non sentirsi mai pronti abbastanza.A tutti mi sento di dire che la vostra paura e la vostra umiltà sono esattamente il motivo per cui dovreste candidarvi alla guida di questa città. La politica è la tensione tra un già ed un non ancora e se non spingiamo insieme su un cambiamento chiunque si sentirà solo nel dover fare questa scelta, ed una persona che si sente isolata avverte di essere facilmente aggredibile dal potere clientelare fino ad essere isolata. La scelta di essere una parte politica di questa città più che di “fare politica” deve essere una scelta quanto più corale, di un popolo che si fa parte in causa e scende nella tensione elettorale a cercare consenso per una nuova visione, non più per un nome, per un parente o per un nuovo leader. Noi intendiamo affrontare la tensione elettorale per cercare un consenso di popolo attorno ad una visione: una città sociale, inclusiva, verde ed intelligente. Non pensate solo a chi debba candidarsi per questo scopo, pensate piuttosto, “perché non io?”. Siamo nati come GAP, Gruppo di Acquisto in Politica, un gruppo di cittadini che scrive le politiche e poi cerca i candidati adatti, quindi ognuno parta da sé, dalla sua capacità di coinvolgere altri in questa visione, di condividere il senso. Dobbiamo colmare l’altro “gap”, quello della delega, che ci ha fatto sprofondare, e recuperare il protagonismo di chi raccoglie una carta da terra, di chi pulisce la città dalla plastica, di chi apre un’impresa, di chi promuove un monumento e difende le scuole, di chi rinuncia ad offrire l’azzardo patologico ai nostri anziani ed ai nostri giovani. Il nostro GAP parte ora. Abbiamo scritto tanti documenti, altri verranno: ora serve partire da noi perché quei documenti e quella visione abbiano le nostre gambe e non restino pura accademia o salotti amicali. Da domani ognuno di noi dovrebbe inondare la nostra segreteria di nomi e di cognomi di persone che dovrebbero candidarsi nelle nostre liste. Personalmente ho scelto di essere una parte attiva di questa città – e di essere da una parte precisa della città – non quando abbiamo fondato Civico22, ma quando a 15 anni ho iniziato a fare doposcuola dove serviva, quando frequentavo la casa di riposo San Pasquale tutti i sabato pomeriggio con un gruppo di amici con cui rifondammo il Volontariato Vincenziano giovanile, quando ho iniziato a scrivere per i giornali locali e diocesani, quando decidemmo che dovesse nascere un centro di socializzazione per le persone con disabilità, il Centro “E’ più bello insieme”, quando abbiamo fondato l’Orto di Casa Betania per dare nuova vita ad una terra abbandonata, quando abbiamo lottato e marciato insieme a centinaia di cittadini contro il dilagare del gioco d’azzardo, quando abbiamo messo in piedi le diverse cooperative che hanno poi fondato il Consorzio Sale della Terra. Sono stato una parte di questa città anche quando sono stato chiamato a coordinare la Caritas per sette, intensissimi, anni. Ho scelto una parte precisa di Benevento trent’anni o fa e sono ancora da quella parte. E Civico22 con il suo carico di sogni e di progetti è esattamente da quella stessa parte. Helder Camara scriveva: “Quando dò da mangiare ad un povero tutti mi chiamano santo; ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, mi chiamano comunista e sovversivo”. So benissimo che attraversare il guado dall’impegno sociale per gli ultimi all’impegno politico significa attirare giudizi sulla mia persona e su tutti gli attivisti, ma non saranno le lingue di chi ci denigra a fermarmi ed a fermarci. So già che si pagano prezzi alti a Benevento per chi si impegna (come il tentativo rozzo e maldestro di irrorarmi una multa di 15 mila euro per aver riaperto il Centro “E’ più bello insieme”), ma nessuno di noi deve essere disposto a mettere ancora la testa nella sabbia per conformarsi ad un sistema che ci ha spinto in basso. L’unico conflitto di interessi che va davvero agitato è quello tra l’interesse per la città e l’interesse per se stessi. La mia storia al Sale della Terra, che oggi è realtà nazionale, presente con 260 lavoratori in 4 Regioni, e che non può essere affatto rubricata a semplice impresa beneventana, dice chiaramente che anche un’impresa sociale può fare cultura, che anche il welfare può essere sviluppo, che anche le battaglie per difendere l’ambiente possono essere economia. Questa storia oggi è patrimonio della città, perché nasce qui e non è appannaggio di nessuno: nessun potere clientelare può avanzare pretese sul Consorzio, fatto da donne e uomini libere e forti che hanno investito la loro vita per una parte precisa del mondo, per una visione di ecologia integrale. Forse è il caso di ricordare a quei pochi malpensanti che agitano lo spettro che chi si occupa di economia del privato sociale non possa impegnarsi in politica, che l’esperienza politica di don Sturzo nella sua natìa Caltagirone non si fondò solo sullo slancio spirituale del sacerdote, ma anche e soprattutto sulla costituzione concreta di una rete di casse rurali e del movimento cooperativo siciliano; come forse è il caso di ricordare che l’impegno laico di Franco Basaglia non fu solo nella lotta politica e parlamentare per la chiusura dei manicomi, ma quello di dare concreto avvio delle Cooperative di Solidarietà Sociale che includevano i matti liberati da quei cronicari. Sviluppare la cooperazione di un territorio a favore degli ultimi e della crescita locale non è qualcosa di diverso dalla politica locale; chi agita il contrario cerca di ridurre lo schema della politica alla clientela, ma in Civico22 non troverà terreno sufficiente a far radicare l’inciucio in un movimento come il nostro. Il grido dei poveri ed il grido della terra sono lo stesso grido ci ha detto papa Francesco nella Laudato Sii. E questo ovviamente vale anche qui, anche a Benevento. Si deve partire da quel grido se vogliamo avviare la rivoluzione gentile, si deve partire dagli ultimi e dall’ambiente, confidando nella nostra storia e nella nostra intelligenza sociale. Benevento è una città singolare e fortunata, ma ha bisogno di nuova intelligenza sociale per cogliere a pieno le nostre fortune e sviluppare fino in fondo i nostri meriti: abbiamo il pane ed abbiamo i denti, ma spesso non li mettiamo insieme. Abbiamo un’Università che è eccellenza nazionale ed internazionale dell’informatica, abbiamo il fior fiore degli ingegneri informatici, ma non abbiamo uno straccio di Smart city, una Wi-Fi zone che funzioni per davvero nella città, non abbiamo gli spazi co-working pubblici, non abbiamo la sharing economy e nemmeno una green economy; abbiamo il 90% di territorio rurale, ma non c’è un vero piano per la difesa e la promozione della vita rurale cittadina; abbiamo le rotaie e i treni, ma non una piccola metropolitana leggera; abbiamo il verde ed un ambientalismo di lunga tradizione, ma non la cura dei giardini; abbiamo il vino buono e decine di vinerie, ma non valorizziamo abbastanza il nostro brand territoriale nell’economia urbana; abbiamo la storia di una città egizia, romana, longobarda, pontificia, tra le più importanti del centro sud, ma i monumenti sono trascurati come se fossero i cestini porta panini del McDonald’s; abbiamo le piste ciclabili, le colline, migliaia di ciclisti, ma abbiamo il divieto di andare in bici nel centro storico, le piste ciclabili inservibili; abbiamo i fiumi, una flora ed una fauna di rara bellezza, ma non abbiamo un piano che li preservi né un patto di fiume all’altezza; abbiamo le radici di artisti come Mimmo Paladino e Antonio Del Donno eppure non c’è nessuna programmazione culturale che tenda a celebrare, valorizzare o semplicemente ricordare quelle radici; ci sono talenti musicali, sportivi, teatrali, un Conservatorio ed un’Orchestra Filarmonica che altre città ci invidiano, ma abbiamo teatri chiusi, impianti sportivi alla rovina ed una casa della musica mai affidata. Abbiamo banche e giri importanti di denaro privato e mentre il reddito medio scende il volume di affari del gioco d’azzardo supera gli 80 milioni di euro nell’anno 2019, più di ottanta volte il nostro bilancio delle politiche sociali. Dobbiamo partire dal pane o dalle rose per avviare un cambiamento? Dobbiamo partire dalla poesia e dallo sguardo; non c’è vicolo di Benevento che non ispiri un verso, una canzone, un progetto di vita. A noi tocca innovare lo sguardo per cambiare le sorti di questa città abbandonata e violentata e tocca aprire per ogni ferita una feritoia, da cui non solo intravedere le luci, ma soprattutto inseguire il movimento della luce. Dobbiamo insieme far emergere una visione della città dal movimento e la cura dei nostri fiumi, dal movimento delle nostre colline produttive, dalle luci che si intravedono tra le finestre di una vecchia fabbrica abbandonata, dagli scorci urbani e rurali che ci lasciano senza fiato. Dobbiamo partire prima di tutto da un movimento spirituale, che ci faccia sollevare la schiena e prendere le distanze da una cultura politica che da una parte riduce i fiumi, il verde della città, l’infanzia, le biciclette, i nostri monumenti, le persone con disabilità, i teatri, gli anziani a semplici pericoli da mitigare o a costi di gestione da evitare, mentre dall’altra, promuove ed immagina nuove speculazioni edilizie, nuovi investimenti milionari per nuove palazzine (il 30% del nostro patrimonio immobiliare è già in disuso), mega-parcheggi e centri commerciali. Benevento può ripartire da sé ma deve tendere ad andare oltre se stessa, guardando il futuro che arriva. Partire da sé significa partire principalmente dalla nostra storia femminile, dal nostro pensiero divergente. Siamo la città del Sud che più di tante altre si caratterizza per gli archetipi femminili: il culto di Iside, la storia e il mito delle Streghe, la materna protezione della Madonna delle Grazie e la sua devozione popolare. Siamo la città in cui il seno di Maria è esposto dal lato opposto alla bocca del bambino, segno di una maternità ed una femminilità che insieme si prendono cura di Benevento. Come ci ha insegnato Franco Cassano, il pensiero divergente femminile ed il pensiero divergente del Sud vivono la stessa condizione di essere un pensiero “altro” non assimilabile al pensiero unico occidentale. Benevento riparte da sé se intende la sua crescita non come una rincorsa ad un “nord” che non è, ma perseguendo un suo pensiero peculiare proiettato al Mediterraneo e centrato sull’economia femminile, l’economia della cura contro l’economia maschile dell’aggressione, l’economia gentile dello scambio che guarda ai bisogni della casa contro l’economia del profitto fine a se stesso che punta a mantenere i sistemi di disuguaglianza. E se il nostro futuro ha come orizzonte il Mediterraneo e non solo l’Europa, non possiamo che andare oltre noi stessi, immaginare una città aperta a nuove comunità che si insidieranno da noi. Oggi si contano a centinaia membri della comunità tunisina, marocchina, rumena, cinese, alcuni di loro sono i principali tifosi del Benevento, lavorano come i operai e come imprenditori, i loro figli hanno arricchito di nuove culture le nostre scuole. Per evitare ciò che è successo in altri centri urbani, in cui lentamente si sono stratificati quartieri ghetto per le nuove etnie e in cui le classi delle scuole elementari si sono divise in classi per italiani e classi per stranieri, dobbiamo agire poter ipotizzare che la nostra piccola Benevento diventi un simbolo dell’Europa aperta e di pace, ma anche dell’Europa intelligente e generosa, che sappia investire e curare nell’integrazione, perché il vero futuro passerà per la capacità del nostro continente di saper dialogare con le nuove generazioni di migranti che ci raggiungeranno. Oggi le tradizioni del Sud si stanno salvando non solo con il ricambio generazionale ma anche con il dialogo interculturale, a Benevento la zeppola Russo è stata salvata così, a Pietrelcina il presidio slow-food del carciofo è ripartito da una cooperativa di comunità costituita da autoctoni e migranti. La Benevento del futuro deve sapere unire le energie di nuove generazioni di più popoli per innovare radicalmente il suo passo e diventare un modello in Europa e non un fanalino di coda in Italia.Civico22 pensa di riuscire a fare tutto questo da sola? Assolutamente no, non pensiamo di essere autosufficienti per una rivoluzione del genere, non abbiamo la presunzione di bastare a noi stessi. Per questo riteniamo fondamentale avere un dialogo aperto non solo con tutti i cittadini e di gruppi sociali ma anche con le forze partitiche tradizionali, che rispettiamo profondamente, con la speranza di innovare anche qui il metodo del dialogo: i contenuti prima delle alleanze, la vision condivisa prima dei singoli progetti, il consenso come esercizio di democrazia partecipata e non di potere e di clientela. Se siamo arrivati fino a qui, stasera, lo si deve alle centinaia di attivisti che ci hanno creduto e ci credono tutti i giorni, ai tanti componenti della segreteria e della cabina di regia della comunicazione: Antonio LIberti che ha generosamente curato tutte le grafiche, Chiara Bollo, Doriana Bollo, Francesco Luciano, Danilo Travaglione, il grande Gianpaolo De Siena che ha realizzato tutte le foto ed i video di questo primo anno di lavoro; ma lo dobbiamo soprattutto a loro: a Gabriella Debora Giorgione vicepresidente dell’associazione e direttore della comunicazione, che ogni giorno dà tutta se stessa per questa battaglia civica, e a Pasquale Basile che per primo ha immaginato di creare questa alleanza civica a favore della città, superando se stesso e venendomi a cercare per fare qualcosa di nuovo, insieme, nelle nostre diversità. Ora diamo inizio all’ascolto di tutti in questa nuova assemblea di Civico22, il mio augurio è che in ognuno di noi per ogni ascolto, ogni parola, ogni punto di vista, vi sia l’inizio di un nuovo consenso per la nostra città.—#Civico22 #laboratoricivici #Benevento

tutte le foto sono di LUCA DANIELE, ne è vietata la riproduzione

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