Italia sotto la media europea per uguaglianza di genere: lo studio dell’EIGE per il 2020
Anche per il 2020, l’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) ha pubblicato lo studio che misura lo stato di uguaglianza di genere tra i Paese dell’ Unione Europea: “Gender Equality Index”. L’indice assegna ad ogni Stato membro un punteggio che va da 1 a 100 e che indica il grado di uguaglianza raggiunto; più il punteggio è alto e maggiore è il livello di parità diffuso nello Stato. Prima di analizzare gli indici è opportuno fare una premessa: i dati analizzati per sviluppare l’indice del 2020 si riferiscono all’anno 2018, quindi ad un periodo precedente alla crisi pandemica causata dal Covid-19 che, come noto, ha colpito principalmente le fasce più deboli sul piano economico e sociale, tra le quali, prime fra tutti, ci sono proprio le donne.
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Senza troppe sorprese, i Paesi che occupano i vertici della classifica sono i Paesi Scandinavi e del Nord Europa, i quali primeggiano in tutte le aree analizzate: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere, salute. Invece l’Italia, sempre senza troppe sorprese, continua ad ottenere un indice che è al di sotto della media europea, sebbene importanti progressi siano stati compiuti rispetto agli anni precedenti. Infatti il nostro Paese ha guadagnato 8 posizioni nella classifica rispetto al 2010, crescendo a ritmi più elevati rispetto agli altri Paesi comunitari.
L’Italia è migliorata in tutti le aree considerate tranne quelle del tempo.
L’area che ha registrato un incremento maggiore è quella del potere (+32,7); molto probabilmente il miglioramento è stato favorito da norme che sono intervenute direttamente in questo ambito come l’introduzione sulle quote di genere, sia in ambito politico che economico.
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Analizzando le altre aree invece registriamo una crescita di 7,8 punti nell’ambito della conoscenza e di quasi 3 punti nell’ambito del denaro, salute e lavoro.
Al contrario, nella sfera del tempo l’Italia presenta un calo, pari a -0,8 punti dal 2005 al 2018.
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Una riduzione che possiamo pensare sia in parte legata a un pregiudizio piuttosto radicato nel nostro paese. Cioè quello di vedere il lavoro di cura dei figli o degli anziani, come una prerogativa più delle donne che degli uomini.
Quali conclusioni possiamo trarre analizzando questi dati? Innanzitutto possiamo sostenere che l’ineguaglianza di genere è principalmente un problema di tipo culturale: non esiste una cultura della parità di genere diffusa nel nostro Paese e ancora peggio, molto poco si sta facendo in questo ambito. Se i progressi che abbiamo ottenuto sul divario di genere derivano esclusivamente da interventi normativi, come le quote rosa nei CdA delle società quotate, poco o nulla si sta facendo in termini di promozione della cultura e della parità di genere e nella rimozione ideologica degli stereotipi che legano la figura femminile alla mera cura della casa e della famiglia.
E’ necessario che tutte le istituzioni collaborino affinché la cultura di genere sia diffusa all’interno del nostro Paese e che l’ottica di genere diventi un elemento costante nell’agenda politica. Infine, è utile sottolineare che tanto possono fare anche le amministrazioni locali, più vicine alle esigenze delle comunità; luoghi nei quali è più facile instaurare un dialogo con la collettività e sperimentare misure adatte alla specificità del singolo territorio. Per questo motivo la coalizione ArCo ha inserito nel proprio programma un capitolo dedicato alla parità di genere, prevedendo delle azioni concrete e realizzabili sul territorio, in grado di diffondere la cultura della parità e di rimuovere quelle barriere ideologiche che limitano lo sviluppo economico e sociale delle donne beneventane.
Anna Rabuano, gruppo “Parità di Genere” di Civico22