Di Giovanni Calabrese

Sono le 15:50 di Domenica.

Ho pensato che fossero tutti già connessi mentre rientravo a casa dopo aver preso un caffè dalla mia vicina.

Avvio la call. I miei colleghi erano in attesa della lezione del professor Ugo Morelli sul come far prevalere il linguaggio della creatività attiva sul conformismo passivo nell’azione politica.

Inizia cosi il nostro meraviglioso pomeriggio, caratterizzato da un tono aulico che il professor Morelli ha adottato per comporre e ricomporre il senso ed il significato delle parole.

Durante il suo intervento, ho personalmente avuto l’opportunità di confermare che la principale barriera dell’acquisizione di abilità nel linguaggio non è intellettuale, ma emotiva.

Quando si impara qualcosa di nuovo durante l’ora del tè di Domenica,  attraverso presenza e generosità, c è anche tanta incertezza e paura di far emergere quella sfera emotiva, soprattutto quando viene associata alla politica.

Quando non c’è l’abilità di connettersi alle piccole storie, al simbolico, all’emotivo appunto, c’è uno spazio mancante. Per cui non è “possibile generare il possibile”.

Ho sempre avuto un po’ la sensazione che in quello spazio, si viva il limite dell’essere generosi. In quello spazio ho affrontato sempre la mia paura più profonda come artista ed essere umano. Quando guardo nel profondo, alla ricerca di qualcosa, ho sempre  paura di non trovare abbastanza da dare.

Forse ho sempre pensato di essere marginale. Ma attraverso la scuola capisci che il punto non è rimanere marginale ai margini, ma partecipare in quella marginalità insieme agli altri per garantire uno spostamento multiplo dell’azione che si intende compiere.

Alimentare l’incontro ai margini per Immaginare una collisione di comunione creativa.

La scuola politica è collisione gentile, buona, dove si arricchisce il linguaggio e si “espandono” i limiti del proprio mondo come diceva Don Milani.

Il mio lavoro da espansore di confine è anche questo: Imparare il linguaggio degli altri, per arricchire il proprio, cambiarlo poi per cambiare i fatti.

Io ho un sogno in politica.

Voglio POTER cambiare i fatti attraverso collisioni Gentili, buone, dove il pluralismo dei punti di vista diventi voce di rappresentenza come ci ha insegnato il Professor Morelli.

Ascoltando la sua lezione con grandissima attenzione ed ammirazione, sono emerse mie intuizioni e domande che proverò ad argomentare anche cambiando un po’ il linguaggio solito del dibattito politico cercando di offrire a chi legge nuovi spunti. Spero Morelli possa perdonarmi per questo umile tentativo di individuare direzioni e perplessità che potrebbero però caratterizzare la mia esperienza politica oggi come artista e progettista sociale “generoso” a “potente gentile” domani.

Il primo punto è:

Trasformare La Leadership in STAYERSHIP. Attraverso la capacità di una nuova presenza. Come e in quali modi diversi possiamo garantire presenza ed ascolto ai nostri elettori?

La presenza è anche accettare la  vulnerabilità dell’altro, ma oggi più che mai siamo tutti ricongiunti a noi stessi. Dobbiamo imparare a trascorrere il tempo con noi stessi e fare i conti soprattuto con la nostra vulnerabilità. Dobbiamo aspettarci l’irrazionale e l’emozionale; come esseri umani, è sempre lì. Come possiamo abbracciare l’irrazionale, il nostro senso di paura di non condividere scelte altrui, quindi essere all’altezza della mediazione che concerne la gestione del conflitto in politica?

Il secondo punto è:

La creatività che diventa IN-POSSIBILITA’. Essere sempre nella possibilità di offire il giusto spazio alle piccole storie. Spesso nella Storia le sfide hanno portato gli esseri umani a creare cose speciali, interessanti ed inedite. Cosa possiamo offire quando l’inedito non è necessario, quando ci troviamo al confine tra possibile ed impossibile e siamo obbligati a dare una risposta immediata?

Nel nostro obiettivo di capire come vivono le persone e cosa è importante per loro ora e in futuro, non dobbiamo cercare risposte nei Palazzi o in edifici governativi ma nella vita quotidiana.

Nei prossimi mesi incontreremo persone nei bar, nei negozi, nei ristoranti, in chiesa, alcune su zoom, altre per strada. Daremo loro risposte a domande quali: Perchè dovrei votare te? Che cosa farai se dovessi vincere? Perchè tu e non un altro? Ecc.ecc…

Come possiamo evitare false promesse?

Come possiamo evitare di creare una narrativa e una pratica di “salvataggio” introducendo narrazioni che non tengono realmente conto del contesto specifico dei membri di una comunità disposta a votarti?

Come creare un campo di gioco e una narrazione che accolga tutte le parti – cittadini, imprenditori e funzionari – e che sia in parti uguali riconoscibile (questo riguarda me!) E innovativo (questo è promettente, pieno di speranza!)

Come evitare di essere la dispersione ingenua, il nuovo che emerge, senza mai creare una vera e propria arena che coinvolga tutti prima e dopo le elezioni?

Come evitare di diventare letteralmente o figurativamente la “scatola bianca” del museo della politica?

Le domande che ho sollevato sono testimonianza di un percorso di apprendimento che non può essere completato senza un confronto con la città. Mi piacerebbe continuare questo dialogo con i cittdaini per costruire una campagna elettorale che faccia emergere, il desiderio di portare in politicà queste perplessità oltre la vulnerabilità come esercizio, la presenza come nuovo modello di leadership ed il “poter fare” gentile come amplificatore delle minoranze.

Concludo con Tucidide che diceva:“I forti fanno ciò che devono fare, e i deboli accettano ciò che devono accettare.”

In questo mare di indifferenza, conformismo e saturazione dove non c’è possibilità senza potere, dobbiamo negoziare quello che siamo con qualcosa che è molto più forte di noi, sempre certi però che quel NOI sia più grande di quella forza.

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